martedì 30 aprile 2013

TRA MINORANZE E ASTENSIONI



Nel fondo di Repubblica di oggi Ezio Mauro scrive, fra l’altro, che “le tre minoranze uscite dalle urne anche grazie ad una legge sciagurata non sono state capaci di formare una maggioranza di governo”.
Mi sembrano opportune alcune note. La prima. La legge elettorale è senz’altro sciagurata, ma soltanto una legge ancora più sciagurata potrebbe fare diventare maggioranza assoluta una di quelle minoranze, violando così ogni decente regola democratica. Mi suggerisce un amico che, con la previsione di una modifica del Senato e conseguente affidamento alla sola Camera del voto di fiducia, la sostanza dell’attuale legge maggioritaria col suo premio esagerato non sarà mai cambiata perché garantirà a Berlusconi altri anni di potere, visto come stanno andando i sondaggi dopo quella che, comunque la si voglia vedere, è una vittoria strabiliante del cavaliere.
La seconda. Le tre minoranze nelle quali è diviso il parlamento (tre, giustamente, perché la quarta, la cosiddetta lista civica montiana è già di fatto sciolta e predisposta al rientro nel centrodestra) sono soltanto la conseguenza di una divisione esistente nel corpo elettorale, cioè nel Paese. E quindi occorrerebbe partire da qualche analisi che possa spiegare questa condizione. Peraltro già esistita in qualche modo anni fa, quando la rottura della unità a sinistra portò il PSI ad essere terza forza aggiunta alle due maggiori, DC e PCI.

La terza. Alla fine due di quelle minoranze sono state capaci di formare una maggioranza di governo: sobria, giovanile, con sufficiente equilibrio di genere, un po’ meno nell’equilibrio di posizioni politiche rispettando invece il dogma della ricostruzione democristiana. L’esatto contrario di quelle che erano state le promesse elettorali di cambiamento del PD, e invece, quanto ai programmi illustrati nella relazione in parlamento, del tutto prone alle sbandierate e demagogiche proposte della destra, IMU e IVA in testa (vedremo dove troveranno i soldi per farlo).
Ma aggiungo una questione fondamentale. Il corpo elettorale che ha determinato le tre minoranze è, se si considerano anche le schede bianche e le schede nulle, poco più della metà della popolazione adulta del Paese. In questa enorme quantità di cittadine e cittadini c’è una ferrea unità rappresentata dallo schifo e dalla nausea per la politica? O anche in quegli oltre venti milioni ci sono minoranze incomunicabili? Certo, c’è chi non vota perché è assolutamente indifferente nel senso che non ha problemi, ha risorse proprie che non lo fanno dipendere dalle scelte del governo. Ci sono anche quelli che non votano perché glielo ha ordinato il capomafia, e anche quella risibile minoranza veteroideologica che non vota per scelta “di classe”, consegnando la scheda al segretario di circolo perché non si sa mai. Non credo tuttavia che siano molti.
Tutti gli altri, allora. Non sarebbe utile cercare di capire chi sono, come vivono, che cosa hanno davvero in testa, quali problemi li invitano a dissociarsi da scelte che in ogni caso li coinvolgono? Ecco, credo che un compito di chi ha ancora a cuore la costruzione di una formazione politica che esca dalle secche di un dibattito tutto ideologico e voglia invece misurarsi sul piano concreto delle proposte per farci uscire da ben altre secche, stia proprio nel trovarli quegli astensionisti, riconoscerli, parlargli, accogliere suggerimenti, incoraggiarli a riprendere una dimensione civica che aiuti loro stessi e gli altri. Gli strumenti ci sono, per cominciare. Gli elenchi elettorali; la distribuzione nei seggi dei vari numeri civici, via per via; i risultati elettorali di quei seggi; i confronti degli esiti nei vari turni elettorali. E il volantino nella cassetta della posta, con la proposta, l’invito a riflettere, a confrontarsi. Come si faceva una volta. Perché non riprovarci?

sabato 27 aprile 2013

IVA, IMU. Ma ‘ndo imu?


I calcoli dicono che l’ulteriore aumento dell’IVA dal 21 al 22 per cento previsto per il prossimo luglio costerà mediamente 103 euro all’anno per una famiglia normale, che vive cioè con un reddito sufficiente per pagare affitto, bollette, cibo e pochi altri consumi. Il calcolo non è difficile: se una famiglia di tre persone spende circa 500 euro al mese per il vitto, l’aumento comporterebbe un aggravio dei costi di 5 euro, cioè 60 all’anno. In una famiglia nella quale il mangiare rappresenta una delle spese più sostanziose. Altro discorso, invece, per le spese finalizzate a importanti o grandi acquisti: se vuoi comprarti un modello della Jaguar (ho dovuto cercare in rete i listini), che costa tra 50 e 60 mila euro, quell’1% rappresenterebbe 500 o 600 euro. E siccome chi si compra il modello della Jaguar è attento alla lira (!) proprio non gli va di dover cacciare tutti quei soldi in più. No, guardate, non è uno scherzo: la preoccupazione di chi vuole abolire l’aumento è proprio questa: che potrebbe colpire i consumi di lusso. La dimostrazione ulteriore è che l’abolizione dell’aumento significherebbe un costo per l’erario di due miliardi per il 2013 (un semestre) e di quattro per il prossimo anno. Dove si trovano questi soldi? Beh, semplice: basterebbe chiedere alla Fornero una consulenza per aumentare il numero degli esodati!


Più o meno identico ragionamento vale per la questione IMU. Ripetendo ancora una volta fino alla noia che parlare di prima casa è una sciocchezza (semmai di UNICA casa, e sempre che non sia di lusso), l’abolizione come la vuol fare Berlusca (dovrà risolvere che cosa considerare prima casa fra le tante che ha!) costa 4 miliardi per ogni anno a venire, più i quattro che sarebbero necessari per la restituzione che un po’ di pensionati babbioni stanno ancora aspettando davanti agli uffici postali. Dove trovare i soldi per questa grande impresa? Ci si potrebbe rivolgere a Pietro Ichino e farsi dire in che modo fregare ancora un po’ precari e lavoratori a tempo indeterminato e il problema sarebbe facilmente risolto.
Adesso attendiamo le decisioni del governissimo. Dopo le tanti lodi sperticate sulle novità introdotte (lodi davvero esagerate a guardare le facce, e soprattutto i curricula di un po’ di ministri: e non sono ancora arrivati i sottosegretari!) sarà davvero interessante conoscere le soluzioni inventate per i due problemini.

EVASIONE


Amore. l'amore, le mie parole
come pesciolini rossi
me le vedo intorno e poi piano piano
in questa atmosfera di confusione
c'è un'intenzione:
Evasione, evasione, evasione, evasione, evasione, evasione, evasione!

No, non ci riferiamo alla bella canzone di Gaber, vogliamo parlare dell’evasione fiscale. Il ricco padrone della destra la definisce un obbligo, una necessità: altri, invece, il male peggiore della società, ma spesso finiscono con l’essere ipocriti, perché non fanno nulla per combatterla davvero.
Guardiamo allora qualche dato. In Italia i contribuenti, esclusi quindi quei 10 milioni di cittadini che non pagano IRPEF perché hanno redditi lordi annui inferiori a 7500 euro (in gran parte pensionati, quindi), sono circa 25 milioni. Ma di questi, 20 milioni non possono evadere, anche se lo volessero: sono pensionati e lavoratori dipendenti che pagano le tasse dovute con la ritenuta alla fonte. Bene, restano circa 5 milioni di cittadini (anzi, per una parte di essi si dovrebbe usare il termine meno nobile di individui, perché si è cittadini solo se si rispettano doveri e diritti della cittadinanza). Come si comportano? Nel 2007 i titolari di partita IVA erano 5 milioni e 700 mila, compresi quindi quei lavoratori di fatto dipendenti ma costretti dalle tante iniquità contro il lavoro a subire un rapporto lavorativo di tal fatta. Quasi certamente non contribuiscono al volume d’affari, che per l’81% delle partite arrivava fino a 185.000 euro annui (e tanto meno a quel 19% che quella cifra la superava). Inoltre, sempre con riferimento al 2007, esistevano oltre un milione di società di capitali.
Dati più recenti descrivono questa società: il reddito medio lordo annuo di un lavoratore dipendente è di 20 mila euro, che scendono a 15.500 per un pensionato e salgono a 42.280 per un lavoratore autonomo. La sorpresa viene fuori dai calcolo per gli imprenditori, altrimenti noti come padroni: per loro il reddito medio lordo assomma a 18.840 euro annui, che scendono addirittura a 17.480 euro in caso di contabilità semplificata! Ma a chi la vogliono raccontare che un imprenditore guadagna meno di un lavoratore dipendente e solo 160 euro al mese più di un pensionato?


Insomma, si sa dove può annidarsi l’evasione, il problema è che non la si vuole colpire. Quando hanno introdotto il redditometro, hanno stabilito che l’accertamento forzoso poteva scattare solo quando la differenza tra reddito dichiarato e spese sostenute superava i 100.000 euro: una bella riduzione della platea! Anche perché gente del genere sa benissimo come cavarsela! Nessuna, o poca attenzione al fatto che, dalle stesse dichiarazione, emerge che ci sono 100.000 case di proprietà e 71.000 attività finanziarie all’estero, per non parlare dei paradisi fiscali e delle tante, troppe porcherie che continuano a restare impunite, e che portano l’evasione alla cifra impressionante di 180 miliardi di euro!
Insomma, una lotta seria all’evasione può farsi solo se si parte dalla volontà di correggere (è solo un eufemismo) il dato più esplicito di una società violenta fondata sulla disuguaglianza: il 5% dei più ricchi ha un reddito pari alla somma di quelli del 55% dei contribuenti. Lo conferma persino il fisco evaso, dal momento che i cosiddetti paperoni, cioè chi ha un reddito superiore a 300 mila euro, sono 28 mila.
Accertare quindi, come in qualche raro caso si riesce a fare. Ma non basta: occorre punire con maggior rigore, se davvero si vuole considerare l’evasione come un reato insopportabile.

giovedì 25 aprile 2013

TERESA MATTEI, UNA GRANDE DONNA


Si è svolta in Senato la commemorazione di Teresa Mattei, morta a 92 anni nel marzo scorso. Partigiana, la più giovane delle poche donne elette alla Costituente, Teresa si batté perché nell’articolo 3 ci fosse quel “compito della Repubblica di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori alla organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. Teresa era a Genova nel 2001, e usò parole forti per condannare la uccisione di Carlo e le violenze alla Diaz.
Teresa Mattei aveva anche indicato nella mimosa il fiore delle donne, di cui fare omaggio l'8 marzo.


La senatrice Puppato ha ricordato un episodio meritevole di iscrizione nella battaglia delle donne per l’uguaglianza: uno squallido omuncolo parlamentare la interpellò dicendole: “Signorina, lei non sa che le donne per qualche giorno al mese non ragionano?” Teresa non si lasciò sfuggire la possibilità di fulminarlo: “Lei non sa che molti uomini non ragionano per tutto il mese?”
Ne abbiamo esempi fluenti anche nell’attuale parlamento. Purtroppo.