Già, una volta.
Non solo si votava diversamente, ma anche l’analisi del voto era più seria.
Intanto perché non ci si basava sulle percentuali, spesso ingannevoli, ma sui
voti effettivi. E allora proviamoci.
Un dato è
certo: in tutte le città capoluogo a cominciare da Roma nelle quali si è votato
al ballottaggio, il candidato del PD e della coalizione che lo sosteneva hanno
vinto superando il numero di voti ricevuti al primo turno, e ciò nonostante la
crescita dell’astensionismo. Succede appunto a Roma, dove Marino acquisisce
oltre 150.000 voti in più nonostante 183 mila votanti in meno, mentre Alemanno
si deve accontentare di 10 mila voti in più, la metà di quelli che al primo
turno sono andati a liste della destra fascista, i cui sostenitori avranno pur
riconosciuto una vicinanza con le origini dell’ex sindaco. Non credo possano
esistere dubbi sul fatto che una parte consistente dei voti grillini del primo
turno (erano stati più di 130 mila) siano andati a Marino, che oltre tutto li
aveva esplicitamente richiesti. Ma la stessa cosa avviene a Brescia (Del Bono
guadagna più di 12 mila voti mentre il pidiellino si deve accontentare di un
incremento di soli 2 mila voti), a
Treviso (Manildo migliora di 4 mila voti mentre il trucido sceriffo leghista si
ferma a 3 mila) e a Imperia (il candidato piddino conquista 3 mila voti in più
mentre il pidiellino scajolano arretra addirittura di 2 mila voti). Il PD
festeggia con un 16 a 0 il voto delle grandi città, alle quali potrà
probabilmente aggiungere le quattro città capoluogo della Sicilia, realizzando
un vero cappotto: 20 a zero (e prima delle elezioni il punteggio era di parità,
10 a 10, ma con dentro città come Roma, Brescia, Vicenza, Viterbo, Catania,
Messina che erano tutte a gestione berluschina).
Dalla Sicilia
viene un risultato importante: la quasi scomparsa del movimento grillino.
Alcuni dati, fra quelli pervenuti dato l’allucinante ritardo nello spoglio, la
dicono lunga. A Catania, dove vince Bianco al primo turno (e non è una bella cosa,
dato il livello dell’individuo) Grillo retrocede dai 18 mila voti delle
regionali del 2012 e dai 48 mila delle politiche di tre mesi fa a 5.869 voti.
Idem a Siracusa: dai 19 mila del 2012 e dai 22 mila e passa di tre mesi fa a 2.315
voti. Buffoni del calibro del comico e di quel sedicente filosofo genovese
dicono che hanno vinto a Pomezia, in un paesino sardo e che, forse, vanno al
ballottaggio a Ragusa. Chi si contenta gode, dice un tiepido proverbio, ma la
questione sembra proprio un’altra: tre mesi di figuracce, di insipienza, di non
fare nulla rispetto alle promesse hanno già stancato e disilluso una fetta
enorme di cittadini che a quel movimento si erano rivolti attratti dalle
imprecazioni contro la casta, assolutamente giuste ma altrettanto assolutamente
insufficienti a determinare un orientamento politico e soprattutto una
strategia con la quale tentare di portare a soluzione almeno uno dei problemi
che affliggono sempre di più il paese.
Resta
impressionante la celerità con la quale si cambia opinione nei confronti delle
cinque stelle contrapposta alla lentezza con la quale ci si allontana da quel
buco nero della decenza e della politica rappresentato dalla truppa
berlusconiana. Ma può destare impressione anche il fatto che, nonostante
l’inciucio, altrimenti detto larghe intese dai suoi promotori, e il conseguente
governo Lupetta (ringrazio ancora una volta Crozza per una delle sue genialità:
Lupi+Letta=Lupetta!), una parte ancora così rilevante del corpo elettorale, per
quanto ulteriormente ridotto dall’astensione, abbia dato fiducia al PD. Conta
indubbiamente la logica del meno peggio, anche se non sempre è così (nel senso
che al peggio non c’è mai fine!) o in qualche caso non lo è davvero (vedi Roma,
dove sicuramente la scelta di Marino è stata un’ottima scelta, basta guardarsi
indietro!). Credo che prevalga lo smarrimento derivante dalla assenza di
alternative. E qui il discorso ritorno al dramma della sinistra, al suo sempre
più ridotto consenso, alla incapacità di offrire risposte credibili, alla
sterile contrapposizione tutta ideologica e mai nel merito delle questioni.
Oltre a prove di vero e proprio istinto suicida. L’altro giorno sentivo un
compagno di Rifondazione esaltare con convinzione il bisogno di correnti
all’interno di un partito. Come dire che, superata in discesa la soglia dell’1%
ci si debba limitare alla conquista del 2 o 3 per mille dei consensi.
No, non credo proprio che quel terzo abbondante di cittadini che non
votano si possano interessare alle dispute correntizie. Facciamo qualcosa prima
che quel terzo diventi metà o anche più. E soprattutto non consoliamoci con la
raggiunta assimilazione all’andamento presente in molti paesi dell’occidente.
In quei paesi non si era mai superata la soglia del 90% di partecipazione e
quindi i loro livelli attuali sono un lento calo, non un precipizio. Se c’è un
precipizio ci casca dentro anche ciò che resta della democrazia.
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