Negli ultimi
giorni molta stampa è tornata ad occuparsi dell’omicidio di Carlo. Ha
cominciato addirittura il Corriere della
sera, verrebbe da dire nonostante Mieli e Battista, segnalando l’indizione
della causa civile per avere finalmente la possibilità di un dibattimento in
un’aula di un tribunale e anche importanti dettagli sullo svolgimento dei
fatti. Poi il Messaggero, Repubblica (l’edizione genovese è
sempre stata presente sulla vicenda), il Corriere
Mercantile. Una brava giornalista del Secolo
XIX mi ha intervistato davanti a un computer sul quale scorrevano le
immagini di quel terribile pomeriggio di dodici anni fa. Ne è nato un filmato
di oltre sette minuti apparso sulla pagina on-line
del quotidiano genovese che alcune migliaia di persone hanno visto (oltre
naturalmente ai molti amici di FB che hanno condiviso il link). Dico alcune
migliaia perché il contatore dei “mi piace”, sicuramente non cliccato da molti
visitatori, ha superato quota mille e cento. Pochi i commenti, una decina, fra
i quali spiccano ovviamente quelli di qualche idiota, o carabiniere, o fascista
(a volte le tre caratteristiche si sommano nello stesso individuo, come è stato
dimostrato la sera del 20 luglio 2001 dal canto di “faccetta nera” che si levava
dalla Foce di Genova, dove erano acquartierati proprio i reparti dei
carabinieri impegnati nelle azioni repressive più violente). Tra quelli meno
volgari sono ricorrenti alcune sottolineature: passamontagna, voglia di
uccidere con l’estintore, e naturalmente camionetta circondata da un numero
enorme di violenti, impossibilità di difendersi altrimenti e via con le
falsità.
Sono dodici
anni che cerchiamo di spiegare e dimostrare, sulla base della enorme
documentazione, come si sono svolti i fatti, e quindi ripropongo qui le
osservazioni che ritengo più significative. Chi si ostina a ripetere fino alla
noia le veline del regime non vuole rispondere a una prima domanda essenziale:
perché quel reparto di cc, che è comandato da un gruppo di élite (così si dice
senza imbarazzo) e che ha partecipato fin dalla Somalia (1994) a tutte le
campagne di guerra Iraq e Iran compresi, va all’attacco di fianco al corteo di
via Tolemaide, senza alcuna motivazione razionale e oltretutto aggirando
l’aiola centrale di piazza Alimonda per creare un effetto sorpresa? E perché
(seconda domanda) in quel tratto di via Caffa ci sta meno di un minuto e poi
scappa a gambe levate, dicendo che erano attaccati da migliaia di violenti, che
dai cinquanta reali diventano migliaia perché altrimenti la fuga del reparto si
tramuterebbe in reato di codardia? E perché (terza domanda) quando le due
camionette si ostacolano a vicenda (ma gli fanno almeno un corso di guida?!)
una di esse, accostatasi a un cassonetto della spazzatura che è lì da un’ora, non
lo spinge perché l’autista non vuole far male a un collega che da dietro il
cassonetto spruzza verso i manifestanti? E soprattutto perché (quarta domanda)
gli ottanta cc con tanto di tenente colonnello in testa non intervengono in
difesa della camionetta sul retro della quale non ci sono migliaia di violenti
ma sedici manifestanti giustamente esasperati (fra i quali si devono contare
già alcuni fotografi)? Tutto ciò costituisce una chiara e manifesta
responsabilità dello Stato attraverso quelli che in quella circostanza sono,
purtroppo, i suoi rappresentanti.
Le distanze
che si desumono da alcune fotografie non tengono conto che si sono usati
teleobiettivi molto potenti. Ma se metti a confronto quelle scattate da due
diverse angolazioni tutto diventa chiaro. Così quando un filmato mostra un
manifestante con casco giallo che solleva da terra un estintore (portato fin lì
da un cc) e lo lancia verso il portellone del defender, la distanza effettiva
di quel manifestante dalla jeep è di oltre quattro metri. Stessa cosa per
quanto accade dall’altra parte sulla destra della jeep. Carlo arriva a mani
nude, il passamontagna gli hanno consigliato di indossarlo per difendersi dal
gas CS (velenoso e cancerogeno) contenuto nei candelotti (ne hanno sparati più
di seimila in due giorni). E’ distante. Vede che l’estintore, che non ha
causato danni agli occupanti, è rotolato a quattro o cinque metri dal retro
della jeep. Vede che sul defender un occupante impugna una pistola e mette il
colpo in canna. Va a raccogliere l’estintore e, senza avanzare di un
centimetro, lo raccoglie per cercare di disarmare chi vuole sparare e minaccia
di uccidere. Partono due colpi, diretti. Il primo colpisce sotto l’occhio
sinistro Carlo, che rotola verso la jeep. L’autista, che parla di panico e di
motore spento (non è vero), ingrana la retromarcia, passa su Carlo, ingrana la
prima, ripassa su Carlo e sparisce di scena in quattro secondi. Dopo meno di
due minuti, quando Carlo steso per terra è circondato da un robusto cordone di
cc e poliziotti (il reparto di ps è risalito da piazza Tommaseo), succede una
cosa per certi verso persino più terribile: un cc gli spacca la fronte con una
pietrata (c’è ancora un’attività cardiaca) e subito dopo il vice questore
Adriano Lauro (che tirava i sassi ai manifestanti in via Caffa) accusa un
manifestante che ha gridato giustamente “assassini” alle forze del disordine
schierate di avere ucciso Carlo con un sasso. Poi, un anno dopo, si aggiungerà
l’imbroglio dei quattro consulenti del pm che inventano lo sparo per aria e la
deviazione da parte di un calcinaccio che vola nel cielo di Genova.
Chi ha
sparato? Dicono Placanica, e per questo citiamo lui nella causa civile, oltre a
Lauro, che è responsabile in piazza delle operazioni. Vogliamo un processo per
portare in un’aula di tribunale la documentazione che avete visto nel filmato
del Secolo XIX e smentire così tutte le falsità che ci, e vi, hanno raccontato.
Quella documentazione e tanta altra ancora. Non portarla, spostarla da una
stanza all’aula, perché tutta quella documentazione viene proprio dal tribunale
di Genova. Solo che chi avrebbe dovuto valutarla si è ben guardato dal farlo.
Meglio archiviare.
A luglio esce
il libro che ho scritto: Non si archivia
un omicidio. Chi sa se qualcuno dei commentatori non del tutto idioti vorrà
documentarsi ancora un po’!
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